Oggi ero al telefono con un amico in una mezz’ora di aria libera guidando da un’astanteria a un’altra e gli raccontavo cosa avevo fatto, dov’ero andata e dove dovevo andare. Ci scambiavamo consigli per velocizzare pratiche burocratiche. “Quindi se ho la PEC posso fare la richiesta direttamente?”. “No, devi andare lì.” La pratica non è stata sveltita dalla tecnologia. Viviamo in un Paese in cui bisogna ancora mandare raccomandate con ricevuta di ritorno, fare file tragiche per avere una prenotazione (beh, ci sono i biglietti della macchinetta e lo schermo con i numeri che avanzano). In cui gli uffici che svolgono le procedure si mandano i fax e chiedono anche a te di mandarli, con in copia i documenti che, fotocopiati e faxati, distorcono bruttamente la fisionomia, aggiungono disturbanti contorni neri. E mancano sempre degli incartamenti. E anche in quelle attese tra un fax e l’altro, in quelle file, in quella sudditanza agli oggetti desueti, si perde molto. I tratti del viso si disfano, le gambe si stancano, la schiena si scomoda nelle sedute di plastica. Si consuma l’esistenza. La vita è scambiata con le sale d’attesa e le stampanti. Le segreterie, le amministrazioni, L’INPS, i Patronati, i CUP, le ASL. Sigle atroci per abbreviare l’unica cosa che poteva restare intatta e lenta, la lingua. Tutto si sperde e invecchiamo, ci sbricioliamo in quella che Magrelli definiva una Grande Colata Quotidiana. Non ho ancora trovato nessun altro che sa spiegare le cose come lui.
Queste sono due pagine di esattezza suprema. Belle, tremende, ma consolanti e divertenti. Vorrei leggere solo cose così.
Mi vengono le vertigini solo a pensare a quante ore ho passato alla posta, in banca, negli studi medici, a quanti minuti ho speso per cercare ogni giorno, talvolta due o tre volte al giorno, il telecomando nascosto… «Questa non è vita», si usava dire. E in effetti passare tre lunghissimi minuti per aprire una confezione di cracker, “non è Vita”, bensì un tentativo di rapina a mano armata per rubarci qualche briciola di “Vita”. Ma sì, distruggili per sempre, quei cazzo di biscotti! Ecco perché ora io sono mio padre, e grido sotto tortura, reagisco a chi mi sottrae l’Esserein-Vita, uno fra i beni più preziosi e rari di cui disponga.
È questo, ora capisco!, il motivo di quella sensazione così diffusa che ci fa dire «Ho sessant’anni, eppure mi sento ancora giovane». In verità, noi SIAMO rimasti giovani, perché le giornate, i mesi divorati dalla Grande Colata Quotidiana, non possono produrre esperienza, ossia non ci fanno crescere, ma soltanto invecchiare. Riparare duecentocinquanta volte il dispositivo di ricarica di una stampante, lascia l’anima intatta nel Tempo, fossilizzata come un insetto nell’ambra. Il corpo, certo, muta e si corrompe, ma senza che la nostra Vita si accresca con lui. Così, dopo tre ore di fila agli uffici comunali, io sono rimasto lo stesso di prima, sebbene il mio organismo abbia accumulato tre ore in più. Ciò spiega perché il divario si allarghi inesorabilmente, fino a creare due vere e proprie corsie: mentre la Vita si sviluppa lenta, l’età anagrafica aumenta insieme ai detriti. Ed eccomi qua: un ventenne mezzo calvo, miope, con la schiena a pezzi e qualche protesi. La differenza tra la mia impressione di giovinezza interna e l’effettiva corruzione fisica, corrisponde a quanto mi è stato sottratto abusivamente – cioè la suddetta Colata. Io ho 22 anni di Vita, più trentatré di Merda da burocrazia, laboratori clinici, astanterie, ricerca di parcheggi, visite militari, e infine stampanti.
Un’unica, inarrestabile colata, dicevo, come quella che ha cancellato tanti paesi italiani nati dalla speculazione. Dunque, potrei affermare che mio padre ed io siamo espressione di un Meridione povero, abusivo, creati per crollare e venire giú: insomma, vocati alla frana. Altro che Santo Fratello, la frazione del messinese completamente sbriciolata da uno smottamento. Santo Padre, piuttosto, Santissimo Padre! Noi, sbriciolati, sbricioliamo le cose che ci sbriciolano. Così va meglio. Ma purtroppo è vero anche il contrario, ossia che, sbriciolando le cose che li sbriciolano, gli sbriciolati accelerano il loro sbriciolarsi.
Valerio Magrelli, “Geologia di un padre” (Einaudi)